Sit-in per gli operai dell'Adelchi di Tricase a Roma sotto la Regione Puglia

CSLS - Comitato Sostegno Lavoratori Salentini

NON PIU' SALENTO DA SFRUTTARE!

domenica 13 dicembre 2009

LICENZIAMENTI E DELOCALIZZAZIONE!!TUTTO QUESTO E' CRIMINALE!!!

Filanto e Adelchi, licenziamenti e speculazioni.
I calzaturifici FILANTO di Casarano e ADELCHI di Tricase hanno deciso di confermare la loro politica aziendale che prevede il licenziamento completo di tutti gli operai, la chiusura delle fabbriche nel Salento ed il loro trasferimento nei paesi del Terzo Mondo.
Questa politica di licenziamento nel Salento e trasferimento delle fabbriche è a completamento di quanto gli industriali hanno già fatto negli ultimi anni che ha comportato, solo nel comparto calzaturiero, il licenziamento di circa 13.000 operai.
Tutto questo è avvenuto ed avviene nonostante l’aumento delle commesse e la concessione di enormi benefici e finanziamenti pubblici in favore degli industriali per garantire l’occupazione.
Fino al 1991, l’intero ciclo produttivo della Filanto avveniva nel Salento, negli stabilimenti di Casarano e Patù, con la produzione di 30.000 paia di scarpe al giorno.
Nel 1993, Filanto ha cominciato a trasferire il 60% della produzione all’estero, iniziando dall’Albania, grazie ad accordi e concessioni effettuati dal governo italiano. Nel 2006 la produzione all’estero aveva superato il 70%.
In base a questi accordi, il governo italiano finanziava la chiusura degli stabilimenti in Italia, finanziava il trasferimento, finanziava l’apertura all’estero. Lo stato italiano, sempre in base a questi accordi, non richiede agli industriali nemmeno le tasse ed i dazi di ritorno dei prodotti dall’estero. l’operazione è chiamata TPP (Traffico di Perfezionamento Passivo).
Con successivi accordi governativi, Filanto ha aperto stabilimenti, oltre che in Albania, in Ucraina, Bulgaria, Argentina, Bangladesh e India. Si prevedono aperture in Serbia, Montenegro, Afghanistan ed Iraq una volta “pacificati”.
L’unico motivo del trasferimento è costituito dallo scarso costo della manodopera. In Albania un operaio è pagato da Filanto con tre euro al giorno, mentre in Bulgaria con soli settanta centesimi.
Non c’è stata mai nessuna riduzione delle commesse. La crescita dell’impresa è aumentata dell’11,11%, la produzione è aumentata da 30 mila a 50 mila paia di scarpe al giorno, la percentuale di vendita del prodotto è aumentata nei mercati europeo ed extraeuropeo con relativo aumento di fatturato, di capitale e di profitto (ma non di posti di lavoro in Italia).
Filanto non solo ha portato il lavoro fuori dall’Italia, ma non ha fatto rientrare nel paese i profitti ottenuti. Questi profitti prendono la via dei paradisi fiscali, dei fondi pensione, dei fondi di investimento in altri paesi.
Filanto è stata la prima azienda italiana a compiere questa politica di delocalizzazione, ad utilizzare i TPP, dal 1993.
Ma visto l’enorme profitto che si consegue, successivamente è stata seguita da altre aziende di tutta Italia. Le aziende del settore nel 1990 avevano in tutto 700 mila operai in Italia. Fino al 1998 hanno portato all’estero la lavorazione, operando 330 mila licenziamenti.
Dei profitti conseguiti, solo nel 1998 sono stati esportati all’estero 80 mila miliardi di lire, pari a 41 miliardi di euro.
Lo sfruttamento e la speculazione sulle spalle dei lavoratori e delle popolazioni del Terzo Mondo è palese.
Negli anni scorsi, Filanto aveva mantenuto in Italia il 30% della produzione solo per limitare il rischio che si poteva determinare dalla realizzazione produttiva in paesi istituzionalmente ed economicamente non ancora sicuri.
Tale margine di insicurezza è stato ridotto e quasi eliminato a causa dell’intervento e della presenza militare italiana. Le forze speciali dell’esercito, dietro la scusa delle missioni di pace, garantiscono all’estero gli affari degli industriali italiani. La Marina Militare Italiana garantisce la scorta del trasporto delle merci.
Ora Filanto si appresta a trasferire all’estero anche il restante 30% della produzione. Dei 3.500 operai occupati fino al 1991, ne rimarranno al massimo cento, comunque da riconvertire.
Nonostante ciò, nonostante Filanto abbia da anni dichiarato a più riprese che chiuderà il suo stabilimento salentino, lo stato continua ad elargire finanziamenti per l’ammodernamento degli impianti. Ammodernamento mai attuato. La fabbrica utilizza vecchi macchinari obsoleti, senza pezzi di ricambio. La manutenzione e le riparazioni sono effettuate direttamente dagli operai con la paura che il guasto potrebbe fermare la produzione e provocargli il licenziamento.
Il calzaturificio Adelchi di Tricase nel 1990 aveva un fatturato di 250 miliardi, 2.200 dipendenti (6.000 con l’indotto) assunti dietro enormi benefici pubblici.
Per l’assunzione dei lavoratori, Adelchi è ricorsa spesso a forme precarie e flessibili quali i ripetuti contratti di formazione lavoro. Avrebbe ottenuto anche strutture e macchinari a costi agevolati; certo ha beneficiato dell’assegnazione degli stabilimenti ex Tabacchifici Bantivoglio concessi dalle istituzioni le quali hanno escluso da tale assegnazione agevolata i lavoratori e gli artigiani locali, abbandonati e discriminati.
Adelchi sarebbe stato condannato dal Tribunale Penale di Lecce il 9.1.2001 in quanto, con operazioni doganali di esportazione e di importazione ritenute fittizie, nonché sull’emissione di fatture ritenute false, avrebbe ottenuto un fatturato diverso da quello effettivo, conseguente ad aver fatto apparire costi superiori a quelli reali e ricavi puramente apparenti.
Adelchi produce 12 milioni di scarpe l’anno, nel 2006, ma invece delle migliaia di operai oggi ha solo 650 dipendenti, quasi sempre in cassa integrazione.
Le scarpe vengono prodotte altrove. In pratica, Adelchi, dopo aver ottenuto benefici per occupare disoccupati nel Salento, ha licenziato tutti e trasferito la produzione in Albania, Romania, Bangladesh ed anche in Etiopia.
Il costo di un operaio in questi paesi è di 25 dollari al mese. Con lo stipendio di un operaio italiano si pagano 100 operai africani.
Adelchi è stato inquisito per malversazione ai danni dello Stato. Avrebbe ottenuto dallo stato tre milioni di euro per costruire a Tricase un nuovo calzaturificio che avrebbe garantito anche nuovi posti di lavoro. Invece quei soldi sono stati utilizzati per le sei aziende di famiglia all’estero.
Il trasferimento all’estero, dicevamo, avviene per sfruttare i bassissimi costi di manodopera. E’ chiaro che non si può proporre a nessuno in Italia di guadagnare solo un euro al giorno. Altrettanto chiaro è che un salario del genere non si può proporre nemmeno in Francia o Germania. Il trasferimento avviene verso quei paesi ricattati dalla miseria, dalla fame e dalle guerre scatenate dagli stessi paesi occidentali.
Pagare un operaio con un euro al giorno significa mantenerlo nella fame, nella disperazione totale.
Ecco perché queste popolazioni emigrano in Italia. Scappano dalla fame generata dagli industriali italiani. Gli stessi che licenziano in Italia creando disoccupazione e criminalità. Gli stessi industriali che ci mettono contro gli immigrati.
Gli immigrati sono vittime del medesimo disegno speculativo dei padroni italiani. Il licenziamento in Italia è uguale al loro affamamento. La fame nel mondo esiste per queste speculazioni e sfruttamento. Noi dobbiamo unirci con gli immigrati contro il comune nemico.
Tutto questo è avvenuto con la complicità dei partiti – anche di sinistra – e dei sindacati – specie CGIL, CISL e UIL - che non hanno perso tempo a firmare ed accettare il licenziamento dei lavoratori. I sindacati non solo non hanno accennato ad una minima protesta, ma hanno fatto di tutto per convincere gli operai ad accettare la cassa integrazione ed i licenziamenti, hanno fatto di tutto per convincere gli operai a subire la politica aziendale.
Ecco perché non hanno mai voluto organizzare alcuna lotta. Nemmeno uno sciopero.
Ogni lotta intrapresa dagli operai, veniva spezzata dai sindacati che sottoscrivevano accordi con padrone ed istituzioni con i quali promettevano il rientro in fabbrica posticipato; poi rinviato; mai rispettato.
I sindacati dicevano ai lavoratori di aspettare, di non protestare, di fidarsi del padrone e che presto sarebbero rientrati in fabbrica come prevedevano gli accordi firmati dal 2002. Intanto il padrone portava via i macchinari alla luce del sole e nessun lavoratore è rientrato.
Gli accordi si sono rivelati sempre una presa in giro.
CGIL, CISL e UIL, per smontare la lotta degli operai Adelchi intrapresa ininterrottamente dal mese di settembre 2009, il 7 ottobre 2009 addirittura hanno firmato un accordo con il padrone che prevede il ritorno in fabbrica di soli 10 lavoratori anziché di tutti gli 806 operai.
La Chiesa ci chiede sempre soldi per elemosinare la fame nel mondo ma non dice nulla sui licenziamenti, né sulle cause che determinano la fame. Il suo silenzio è complicità.
Il parlamento emette leggi che dichiara non punibili queste ingiustizie, di fatto legalizzandole. Le istituzioni non chiedono la restituzione dei benefici prima concessi, né dei soldi dati come finanziamento. I padroni rimangono impuniti, continuano a speculare. Per loro la disoccupazione è un affare. I lavoratori licenziati devono emigrare.

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